
Intervista radiofonica di Vito Verrastro, di Lavoradio, ad Adele Nardulli, che spiega il ruolo inedito di una microimpresa nelle professioni ipertecnologiche del futuro
Come rendere unico e insostituibile l’operato di una PMI della traduzione di fronte all’avanzata dei big player internazionali? Spostando il focus sul capitale umano e utilizzando sapientemente la tecnologia senza demonizzarla, ma anche senza esserne sopraffatti.
Questo, in sintesi, il ruolo delineato da Adele Nardulli, CEO di Landoor, nell’intervista a Lavoradio in tema di professioni del futuro.
I colossi multinazionali tendono a fagocitare le piccole realtà facendo leva sulla traduzione automatica, la rete neurale artificiale, cat proprietari e via di questo passo. Investimenti tecnologici spesso a sei zeri, irraggiungibili per una PMI. La quale, però, può uscire dal circolo vizioso della rincorsa impossibile ai big puntando sulle persone e sulla human translation: traduttori, certamente, ma anche proofreader, revisori, redattori… valorizzando i talenti e la creatività dei singoli. Approccio al quale i colossi della traduzione a catena di montaggio non sono interessati.
«Per questo – afferma Nardulli – ci definiamo un atelier della traduzione: per noi le parole sono come tessuti pregiati con i quali dare vita a qualcosa di speciale e creativo. Ormai non si parla nemmeno più di traduzione, ma di transcreation, soprattutto per quanto riguarda i testi dei siti web, le brochure e le comunicazioni che devono avere un certo appeal. Questo Google Translate non lo fa».
E anche in un prossimo futuro ancora più ipertecnologico e robotizzato magari diventeremo meno traduttori e più mediatori linguistici e culturali, ad esempio grazie al servizio di localizzazione, ma la differenza la farà sempre il fattore umano.
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